Le ragioni ispiratrici dell’art. 80 d.lgs. 50/2016 e dei connessi obblighi dichiarativi sono state ampiamente esplorate dalla giurisprudenza amministrativa e dalla dottrina. Eppure il contenzioso intorno alla sua applicazione non si affievolisce e gli interventi dei Giudici amministrativi restano significativi.
La norma in esame prevede cause di esclusione dalla gara, obbligatorie o facoltative, fondate sul presupposto che l’operatore economico non dichiari, o dichiari falsamente, alcune condizioni o presupposti specificamente indicati ai commi 1, 2, 4 e 5.
La previsione della causa di esclusione per mancata dichiarazione (o falsa dichiarazione) presuppone, dunque, l’emersione, in capo all’operatore economico, di determinati obblighi dichiarativi, il cui contenuto si definisce e si modella alla luce proprio delle citate cause di esclusione.
Il legislatore pretende, dunque, dall’operatore economico che partecipa ad un gara pubblica una serie di informazioni per valutarne l’affidabilità morale e professionale.
In questo contesto ed entrando più nello specifico, la formulazione del comma 5, lettera c) dell’art. 80 in esame, almeno nella versione antecedente alle modifiche introdotte con il recente “decreto semplificazioni” (d.l. 14.12.2018, n. 135, non ancora convertito in legge), ha creato non pochi problemi nella parte in cui vengono elencati a titolo esemplificativo alcuni gravi illeciti professionali tali da rendere dubbia l’integrità o l’affidabilità del concorrente.
II. Con particolare riguardo ai precedenti penali (quelli diversi dai casi elencati al comma 1 del medesimo art. 80) la giurisprudenza ha costantemente ricordato che il tenore della disposizione contenuta nell’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice “induce a ritenere che le concorrenti siano obbligate a dichiarare sempre e comunque l’applicazione delle penali nell’ottica della massima trasparenza” e “implica, sul piano fattuale, che le circostanze concrete – quali la tenuità della penale, l’essere stata singolarmente applicata o l’essere stata contestata – devono contestualmente essere offerte alla Stazione appaltante al fine di consentirle l’esercizio del potere discrezionale di valutazione nel modo più compiuto possibile (T.A.R. Sicilia, Palermo, III, 8.5.2017, n.1210)” (cfr. TAR Campania-Napoli, 13.11.2017 n. 5349).
In realtà nulla di nuovo rispetto a quanto già affermato dalla giurisprudenza formatasi in vigenza del vecchio Codice, art. 38.
Va precisata, in via generale, la ratio soggiacente alle previsioni qui considerate: “l’art. 80, comma 5, lett. c) mira a tutelare il vincolo fiduciario che deve sussistere tra amministrazione aggiudicatrice e operatore economico consentendo di attribuire rilevanza ad ogni tipologia di illecito che per la sua gravità sia in grado di minare l’integrità morale e professionale di quest’ultimo” (Consiglio di Stato, sentenza n. 4192/2017).
Se questo è lo scopo prefissato della norma esaminata, è evidente che le stazioni appaltanti devono essere messe nella condizione di poter svolgere una valutazione circa la rilevanza di quanto potrebbe aver minato l’integrità professionale delle ditte concorrenti. Condizione perché ciò possa avvenire è che gli operatori siano tenuti a dichiarare tutte le situazioni e gli eventi potenzialmente rilevanti ai fini della configurabilità e della permanenza dei requisiti di ordine generale richiesti per la partecipazione alla gara, non sussistendo per l’impresa partecipante la facoltà di scegliere i fatti da dichiarare o di operare un filtro valutativo, “sussistendo al contrario l’obbligo di omnicomprensività della dichiarazione in vista dell’apprezzamento di spettanza esclusiva della stazione appaltante” (Consiglio di Stato, sentenza n. 712/2017).
L’obbligo dichiarativo in questione viene interpretato dalla costante giurisprudenza come strumentale rispetto alle valutazioni di competenza delle stazioni appaltanti circa l’affidabilità dei partecipanti a procedure di gara e si afferma che la sua violazione costituisce di per sé indice di inaffidabilità dell’operatore, tale da giustificare la sua esclusione dalla gara (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sentenza n. 3493/2017).
Ai fini della valutazione di affidabilità professionale dell’impresa, il dovere di clare loqui (quale declinazione del principio di buona fede e correttezza nelle trattative) si traduce in un obbligo dichiarativo, imposto all’impresa concorrente e funzionale alla necessità di consentire alla stazione appaltante una valutazione informata sull’affidabilità professionale dell’impresa che aspira alla stipula del contratto (TAR Napoli, n. 703/2018: l’art. 80, comma 5 “si pone a presidio dell’esigenza di verificare l’affidabilità complessivamente considerata dell’operatore economico che andrà a contrarre con la p.a.”, tanto che l’omissione di una pregressa vicenda penale non consente alla stazione appaltante un “approfondimento delle ragioni per rendere completa, adeguata e congruente la valutazione che la stazione appaltante è chiamata a svolgere”.
III. La stessa giurisprudenza citata è poi molto chiara nel definire le conseguenze di un’omissione del genere: una dichiarazione non veritiera e comunque incompleta di un concorrente finisce per dar luogo “ad un’autonoma causa di esclusione dalla selezione per essere l’operatore economico tenuto a dichiarare tutte le circostanze e informazioni suscettibili di incidere sulla gara”, poiché la norma in esame mira a tutelare il vincolo fiduciario che deve sussistere tra amministrazione aggiudicatrice e operatore economico.
Sul punto specifico delle sentenze penali di condanna omesse nella domanda di partecipazione dei concorrenti, va segnalato infine un importante arresto del Consiglio di Stato (sentenza n. 4192/2017, già sopra citata), relativo a una fattispecie sottoposta all’applicazione del nuovo Codice.
Ebbene, il Consiglio di Stato ha riaffermato il principio “secondo cui il concorrente non può operare alcun filtro nell’individuazione dei precedenti penali valutando esso stesso la loro rilevanza ai fini dell’ammissione alla procedura di gara – in quanto tale potere spetta esclusivamente alla stazione appaltante”. Inoltre, la stessa pronuncia prosegue in modo convincente spiegando che “non è certo ammissibile consentire alle concorrenti di nascondere alla stazione appaltante situazioni pregiudizievoli, rendendo false o incomplete dichiarazioni al fine di evitare possibili esclusioni dalla gara, e poi, ove siano state scoperte, pretendere il rispetto del principio del contraddittorio da parte della stazione appaltante (cfr. Cons. Stato, Sez. V 11 aprile 2016, n. 1412). Se ciò fosse possibile, si incentiverebbe la condotta «opaca» delle concorrenti, che non avrebbero alcun interesse a dichiarare fin dall’inizio i «pregiudizi», rendendo possibile la violazione del principio di trasparenza e di lealtà che deve invece permeare tutta la procedura di gara”. Ragione per cui non si ritiene ammissibile il soccorso istruttorio per colmare a posteriori le omesse o reticenti dichiarazioni.
In termini anche la recente sentenza del TAR Lazio-Roma, n. 11826/2018 del 5.12.2018 in cui è stato ribadito che “l’omessa dichiarazione di precedenti sentenze di condanna, riportate da esponenti aziendali, costituisce legittima causa di esclusione dell’impresa da una gara ad evidenza pubblica, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c, f-bis, del d.lgs. n. 50 del 2016, trattandosi di dichiarazione reticente, in quanto non fornisce un quadro completo della situazione effettivamente esistente, la quale non consente il normale ed esauriente dispiegarsi del processo decisionale della stazione appaltante in merito alla sussistenza di eventuali gravi illeciti professionali” (cfr. già, analogamente, TAR Campania, Napoli, sent. n. 2598/2017; cfr. anche, nel senso di affermare il principio della c.d. omnicomprensività della dichiarazione, anche TAR Lazio, Roma, sent. n. 12640/2017, che richiama Cons. Stato, comm. spec., parere n. 2042 del 2017 e Cons. Stato, sent. n. 4192/2017).
IV. L’obbligo dichiarativo sussiste altresì rispetto alla sanzione Anac avente ad oggetto l’incapacità a partecipare alle gare anche nell’ipotesi in cui l’adozione/comunicazione della stessa risalga ad un momento successivo al termine di presentazione dell’offerta (è quanto sancito dalla recentissima sentenza del TAR Napoli, 4.2.2019, n. 598).
Il Giudice amministrativo campano, sul solco già ben tracciato da costante giurisprudenza, perviene a questa soluzione in applicazione dei principi di buona fede e correttezza che da tempo sono entrati nel tessuto connettivo dell’ordinamento giuridico (cfr., Cass., 18/09/2009 n. 20106) e che “fanno dell’obbligo di buona fede oggettiva un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le altre, Cass. 15.2.2007 n. 3462)”.
La giurisprudenza ha, peraltro, chiarito che il principio di buona fede informa tutte le fasi della procedura di gara al punto che la responsabilità precontrattuale della p.a. può perfezionarsi anche prima dell’aggiudicazione, perché la p.a. è tenuta al dovere di buona fede in tutte la fasi della procedura di gara (cfr. Con. Stato, adunanza plenaria n. 5/2018).
La latitudine applicativa del principio di buona fede nelle gare pubbliche è tale che è pacifica anche la sua rilevanza bilaterale: opera nei confronti della p.a., così come nei confronti dei concorrenti alle gare pubbliche.
Ne consegue, dunque, che, così come la stazione appaltante è tenuta a comportarsi secondo buona fede in tutte le fasi della procedura di gara e ne risponde in caso di omissione, altrettanto devono fare i concorrenti alle gare pubbliche che devono fornire all’amministrazione tutte le informazioni necessarie affinché questa possa scegliere nel modo più consapevole possibile l’impresa più affidabile.
La sanzione Anac subita dal concorrente, comportando l’interdizione dalla partecipazione alle gare pubbliche, comporta, come effetto automatico, l’incapacità a contrarre con la p.a. nel periodo temporale di efficacia della sanzione (l’art. 80, comma 5, lett. f, dispone, peraltro, che le stazioni appaltanti escludono un operatore economico che sia stato soggetto alla sanzione interdittiva di cui all’articolo 9, comma 2, lettera c) del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 o ad altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, compresi i provvedimenti interdittivi di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81).
V. E’ rilevante evidenziate che il Giudice amministrativo ha chiarito che la sanzione dell’esclusione dalla gara è applicabile sia se la misura interdittiva interviene entro la scadenza del termine di presentazione delle offerte sia se emessa successivamente; ritenere irrilevante le misure emesse da Anac dopo il predetto termine, limiterebbe ingiustamente l’operatività del principio di buona fede, legittimando condotte anche opportunistiche che, comunque, potrebbero condurre la stazione appaltante a scegliere un operatore economico non pienamente affidabile.
Come chiarito dal Consiglio di Stato l’interdizione dalla partecipazione alle gare pubbliche rappresenta “una misura restrittiva che riguarda non il micro-mercato della singola gara e del figurato conseguente contratto, dove l’omissione è avvenuta (e rispetto alla quale già l’esclusione disposta dalla stazione appaltante ha raggiunto l’effetto impeditivo), bensì il ben più ampio mercato generale di tutte le gare per contratti pubblici”. Tale misura ha un effetto dirompente “sulla capacità settoriale di agire dell’impresa, perché comunque presunta sospettabile di inaffidabilità morale in tema di gare pubbliche” (cfr., Consiglio di Stato, 23.7.2018 n. 4427).
Conferma di tale impostazione deriva, oltre che dall’applicazione rigorosa del principio di buona fede alle gare pubbliche, anche dall’art. 80, comma 6, secondo cui le “stazioni appaltanti escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura, qualora risulti che l’operatore economico si trova, a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura, in una delle situazioni di cui ai commi 1, 2, 4 e 5”.
Ai fini dell’obbligo dichiarativo, se ne deve dedurre che qualunque operatore economico è tenuto a informare la stazione appaltante dell’intervenuta emanazione di una sanzione Anc avente ad oggetto l’incapacità a partecipare alle gare pubbliche, anche se intervenuta successivamente alla scadenza determini per la presentazione dell’offerta, anche in considerazione del fatto che la sanzione Anac ha comportato, sia pur temporaneamente, la perdita dei requisiti di partecipazione. Mantenere in gara il concorrente in pendenza di una siffatta misura significherebbe violare il principio, secondo cui i partecipanti alle gare pubbliche devono possedere i requisiti di partecipazione lungo tutto l’arco della procedura di gara. In tal senso, sin dall’Adunanza Plenaria n. 8/2015, è stato ripetutamente affermato che i requisiti generali e speciali devono essere posseduti dagli offerenti, senza soluzione di continuità, dal giorno di scadenza del termine per la presentazione della richiesta di partecipazione alla gara, per tutta la durata di questa, fino all’aggiudicazione definitiva, alla stipula del contratto, nonché durante la sua esecuzione (cfr. anche Consiglio di Stato, sez. VI, 25/09/2017, n. 4470).
avv. Simona Motta