Il factoring nasce come uno strumento utilizzato dalle imprese per supportare la necessità di ottenere credito per tenere sotto controllo i flussi di cassa. Come è noto, con il contratto di factoring, una impresa cede ad una società specializzata i propri crediti esistenti o futuri al fine di ottenere subito liquidità e una serie di servizi connessi alla gestione del credito ceduto ovvero: gestione, amministrazione ed incasso prima della loro scadenza (elemento che differenzia dallo sconto bancario o anticipazione) (rif. normativo: legge n.52/1991).
Lo schema contrattuale presuppone tre soggetti, il factor è l’operatore professionale e specializzato che prende in carico, gestisce e finanzia una parte dei crediti di una impresa; l’impresa cede il proprio credito – pro soluto o pro solvendo – in cambio di liquidità; ed il terzo soggetto è il debitore ceduto, ovvero l’azienda che ha contratto il debito con l’impresa cedente.
Rilevanti sono così i rapporti che discendono dall’accordo soprattutto in relazione alle clausole che assumono determinate caratteristiche utili anche per la qualificazione del
contratto stesso.
In via sintetica si parla di; i) esclusiva (il contratto di cessione contiene, di regola, sempre una clausola di esclusiva che vincola il fornitore a non concludere contratti di factoring con altri soggetti per l’intera durata del contratto stipulato); ii) globalità (il fornitore si impegna a cedere e cede tutti i crediti nascenti dalla propria attività imprenditoriale); iii) approvazione del credito (prevede, tra le altre, che il fornitore debba sottoporre al factor l’elenco della propria clientela, indicando per ciascun nominativo le caratteristiche ed il comportamento passato e previsto, solvibilità, tipologia dei crediti e rischi del debitore, al fine di permettere al factor di valutare il rapporti oggetto del contratto; iv) durata ( il factoring è un contratto di durata di solito a tempo indeterminato con clausole risolutive espresse e diritto di recesso).
Da questi rapporti discende la regolamentazione e gli obblighi sia del fornitore sia del factor, tra i quali elementi rileva senza dubbio la assunzione del rischio e la convenienza della operazione che l’operatore specializzato deve essere in grado di valutare ed assumersi.
E’ evidente che motivi di doglianza che spesso sfociano in un contenzioso, siano legati proprio alla valutazione del rischio connesso alla cessione, elemento che come visto, implica uno specifico obbligo da parte dell’impresa nel offrire opportuna comunicazione e documentazione al factor.
Non si può negare che il cedente abbia dei chiari obblighi contrattuali nei confronti del factor, ma è da valutare se tali obblighi giustifichino la risoluzione contrattuale per il solo fatto che, in modo più o meno diligente, essi siano o non siano stati o meno assolti.
La cessione in massa del credito determina, infatti, una corposa attività precontrattuale, dove le parti si adoperano in una due diligence finalizzata all’analisi del credito, del valore della somma ceduta e della possibilità di ottenere la soddisfazione da parte del debitore. Attività che evidentemente assume un aspetto principale, poiché il rischio di impresa che il factor si assume è in larga parte data dalle capacità di analisi delle informazioni ANCHE fornite dal cedente sulla caratteristiche del debitore nonché della valutazione economica della cessione.
Si deve prestare attenzione, però, a non intendere in senso letterale l’obbligo di informativa cui è tenuto il cedente e che spesso diventa, appunto, una delle cause di contenzioso tra le parti. Pare cosi di poter condividere le argomentazioni che una parte della giurisprudenza ormai dal 2016 ha inteso evidenziare relativamente tale obbligo. Si intende, in sostanza, affermare che per il factor non sia sufficiente reclamare la violazione da parte del cedente dell’obbligo di collaborazione per potersi sottrarre al pagamento delle somme dovute per l’anticipazione del credito ceduto. Con più chiarezza non si può sostenere da parte del factor che una collaborazione omissiva o lacunosa del cedente nella fase di due diligence sia elemento giustificante per sottrarsi, in un momento successivo e qualora il debitore si dimostri magari incapiente o inaffidabile, al vincolo contrattuale. Un esempio potrebbe essere dato dalla mancata consegna da parte del cedente di tutta o parte della documentazione che risulterebbe utile al factor per comprendere la solvibilità del debitore e per poter quindi anche effettuare la determinazione del prezzo.
Quella che a prima vista potrebbe però sembrare un comportamento contrattualmente censurabile del cessionario, che anche sollecitato non fornisca la documentazione richiesta, è, a parere di chi scrive, in realtà una carenza di attenzione da parte del factor di compiere nel proprio interesse tutte le attività utili e necessarie al fine di giungere al guadagno determinato dalla cessione.
Non è condivisibile che il factor si sottragga al pagamento dovuto contrattualmente sulla scorta che, da parte del cedente, si siano sviliti gli obblighi di collaborazione pattuiti con il contratto di cessione e ciò anche qualora le richieste del factor siano state disattese. A maggior ragione non si può sostenere la rescissione dell’agreement da parte del factor per inadempimento contrattuale sostenendo che le informazioni – richieste e dovute – siano da ritenersi fondamentali per ottenere la concessione di una garanzia che altrimenti questi non avrebbe concesso. In realtà non sussiste né violazione del sinalgma e quindi inadempimento, né mancanza di buona fede del cedente che giustifichi la decadenza ex tunc della garanzia poiché il factor è un soggetto specializzato.
È proprio la professionalità del factor che sostiene le argomentazioni della giurisprudenza, poiché svolgendo esso in modo professionale una attività di acquisto crediti non ancora esigibili che le imprese venditrici vantano nei confronti della propria clientela è chiamato a preoccuparsi di riscuoterli, anticipando al cedente (di norma pro soluto) l’importo, ma sopratutto con la assunzione del rischio di insolvenza del debitore.
Tale rischio, da intendersi centrale nella attività di impresa del factor, non può essere limitato dalla mancanza di informazioni ricevute dal cedente. Infatti questi è tenuto ad acquisire in modo autonomo i dati necessari per valutare il grado di solvibilità dei ceduti, attività che può ben svolgere direttamente mediante l’accesso alle banche dati delle società specializzate e del circuito del credito di cui pure esso fa parte. Ha poi il factor la facoltà, o meglio un vero e proprio onere, di chiedere al cedente nella fase precontrattuale le scritture contabili relative ai rapporti pregressi che il cedente ha avuto col fornitore (debitore) e di indagare sulla affidabilità economica del cedente. Tale onere non può essere inteso come limitato o circoscritto qualora le informazioni siano solo quelle che vengono acquisite e contenute nelle banche dati di pubblico dominio e, di conseguenza, trasferito sul fornitore. Senza contare, poi, che qualora nella fase precontrattuale in ipotesi di reiterate richieste da parte del factor di consegnare la documentazione che vengano disattese, questi ben potrebbe rifiutarsi di concludere il contratto per evitare il rischio di garantire per debitori dei quali ignorerebbe – colpevolmente- l’affidabilità commerciale.
In buona sostanza non sussistendo un obbligo a contrarre da parte del factor, ogni valutazione sul rischio connesso al debito è in maggior parte a esso imputabile, tanto che nella ipotesi di mancata consegna documentale potrebbe non sottoscrivere l’accordo, che per altro diverrebbe non solo rischioso per quanto riguarda l’incasso delle somme, ma determinerebbe degli evidenti problemi nella quantificazione dell’importo da erogare in favore del cedente.
Se quindi la attività di impresa altamente specializzata in cui opera il factor determina una particolare forma di cautela e responsabilità precontrattuale è opportuno anche tenere conto di situazioni particolari che sfuggono in parte al principio esposto, in base al quale di fatto, si imputa la facoltà di stringere o meno l’accordo contrattuale. Infatti non può sottacersi che le imprese di factor non sempre sono terze rispetto alle società – cedente debitore – coinvolte nella operazione. Lo strumento viene spesso usato dai gruppi di società per gestire in modo “endogeno” il flusso di cassa di tutte le imprese facenti parte il gruppo stesso. Il termine endogeno è palesemente improprio, poiché l’intervento della società di factor rappresenta di per sé una attività esterna rispetto l’organigramma della singola società con cui andrà ad operare e che quindi diventa comune solo nell’ambito delle relazioni infragruppo. Pertanto, nelle ipotesi in cui in gruppo di società decida di cedere i propri crediti alla società di factor costituita ad hoc all’interno del gruppo stesso e demandata esclusivamente alla gestione delle cessioni di società facenti parte del gruppo, è evidente che ci si troverebbe di fronte la possibilità per il factor di non potersi rifiutare dal contrarre. Così come, quindi, le sarebbe impedito di effettuare operazioni con società esterne o diverse da quelle appartenenti al gruppo, allo stesso modo sarebbe impossibilitata dal rifiutarsi di contrarre per quelle che invece fanno parte del gruppo e che sono causa stessa e giustificatrice della sua esistenza. Però a ben vedere anche in questa ipotesi di eccezionalità il principio seppur mediato sarebbe applicabile, poiché proprio l’appartenenza al gruppo consentirebbe alla società di factor di poter accede in modo completo ed esaustivo alla documentazione delle consorelle. È evidente, poi, che ancorchè facenti parte di un medesimo gruppo, le norme di responsabilità degli amministratori per le relazioni infragruppo non possono essere disattese per questo come ogni altro tipo di rapporto societario, cosi come non può essere svilito se non nei limiti previsti dalla legge, la indipendenza giuridica delle singole società e le relazioni che ne discendono.
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- Violazione degli obblighi nel contratto di factoring - luglio 27, 2020
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