Commento all’ordinanza del Tribunale di Firenze del 26 novembre 2014

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MEDIAZIONE: PER IL TRIBUNALE DI FIRENZE LE PARTI DEBBONO ESSERE PRESENTI E LO SVOLGIMENTO DEVE ESSERE EFFETTIVO.

Breve commento all’ordinanza del Tribunale di Firenze del 26 novembre 2014

 

Il Tribunale di Firenze, con ordinanza del 26 novembre 2014, in persona della dott.ssa Breggia, vera esperta del campo, facendo seguito all’altro importante provvedimento del 19 marzo del 2014, ha statuito alcuni principi importanti, che però a modestissimo parere dello scrivente, noto fautore della mediazione (e della sua obbligatorietà), lasciano alcuni dubbi, naturalmente non per colpa dei provvedimenti, ma a causa della superficialità e dell’imprecisione del Legislatore. Al riguardo, non possiamo non ricordare il tormentato iter di conversione del c.d. Decreto del Fare, e i ripetuti tentativi di alcuni esponenti politici di boicottarla. E questo è uno dei motivi per cui chi scrive dubita che il D.Lgs. 28/10, nella sua attuale formulazione, possa essere interpretato sic et simpliciter con la previsione di un’obbligatorietà secca, come prevista nel D.Lgs. ante Consulta (anche se la cosa non potrebbe che farmi piacere, dato che i riottosi non potrebbero che partecipare attivamente alla mediazione, anziché trincerarsi dietro un “non voglio proseguire”). Una previsione del genere, però, esporrebbe nuovamente la norma a rischio di incostituzionalità, e non sembra coerente con il procedimento, politico e legislativo, che ha portato al D.L. 69/2013 e alla sua successiva conversione.

Esaminiamo l’ottimo provvedimento del Tribunale di Firenze. La prima cosa che dobbiamo rilevare, nel pur ottimo panorama della Magistratura italiana, spesso costretta a lavorare in condizioni difficili e con mezzi insufficienti, è il (già conosciuto, peraltro) altissimo livello di preparazione tecnico giuridica del Magistrato che l’ha redatto. Emerge, dall’ordinanza, non solo un perfetto livello di conoscenza della causa, ma uno sforzo veramente apprezzabile d’interpretazione della norma e della diffusione della mediazione, quale strumento di risoluzione alternativa delle controversie e non solo quale metodo per la risoluzione dell’arretrato.

Il procedimento relativo all’ordinanza in commento riguardava una materia rientrante tra quelle per cui è prevista la condizione di procedibilità, ai sensi del nuovo art. 5, comma 1 bis, del D.Lgs. 28/2010. La mediazione era stata esperita, prima di cominciare il giudizio, però all’incontro avevano partecipato solamente il difensore della parte istante (o meglio, addirittura un suo sostituto), e non la parte personalmente, mentre per la parte chiamata non era comparso nessuno. Per il Tribunale, e anche per lo scrivente, questo non è sufficiente a considerare superata la condizione di procedibilità, per due motivi: il primo riguarda la necessità, anzi l’obbligatorietà della presenza delle parti; il secondo, il fatto che la mediazione debba essere svolta effettivamente (e su questo secondo punto, vedremo, che a mio modestissimo parere si concentrano le maggiori difficoltà di interpretazione).

Per il Tribunale di Firenze, per ritenersi superata la condizione di procedibilità, quindi, devono verificarsi due condizioni importanti: la prima è che le parti debbono essere presenti (e questo lo dice anche l’art. 8 del D.Lgs. 28: “le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato). La seconda è che la mediazione deve essere esperita effettivamente.

Per quanto riguarda il primo punto, a mio parere nulla quaestio: dal tenore della normativa, ma soprattutto dallo spirito della mediazione, che ricordiamo è una procedura sempre in mano alle parti e in cui i veri interessi di queste debbono emergere, non possiamo che dedurre che la loro presenza è assolutamente indispensabile. A chi scrive è capitato più volte di spiegare, con gentilezza ma anche con chiara fermezza, che anche il più bravo avvocato del mondo, che abbia studiato a fondo la pratica, non potrà mai intervenire in mediazione al posto del cliente, sia perché non è questo il suo ruolo, sia perché i veri interessi, che debbono emergere in mediazione e sono diversi da quelli strettamente giuridici, non sono suoi e non possono, dal legale, essere conosciuti a fondo. E devo dire che, nella stragrande maggioranza delle volte, i colleghi avvocati hanno ben compreso e sono tornati con le parti.

Deve quindi cessare l’abitudine di andare in mediazione con il solo legale, soprattutto per quanto riguarda Banche e Assicurazioni. Mi si consenta però di dire che spetta alla Magistratura, quando ciò è accaduto, non solo rimandare le parti in mediazione, ma tenerne adeguato conto al momento della liquidazione delle spese legali, anche iniziando a considerare tale comportamento ai sensi dell’art. 96 c.p.c., dato che il dover tornare in mediazione implica comunque un allungamento dei tempi, evitabile con il corretto comportamento di tutti fin dall’inizio.

Resta il problema (e cominciamo ad entrare nella seconda questione) di cosa fare quando in mediazione si presenta un funzionario della Banca (per fare un esempio), correttamente informato della pratica, che però dichiara fortemente di avere istruzioni di “non proseguire”. Mi chiedo a questo punto cosa possono fare mediatore e organismo, oltre ad avvisarlo di questo interessante filone di giurisprudenza che in pratica sostiene l’esistenza di una vera e propria obbligatorietà. La risposta è che non possono obbligarlo; non solo, a mia modestissima opinione, dato che si tratta di materia in cui gli interessi sono piuttosto chiari, obbligare chicchessia ad andare avanti nella mediazione, versando le indennità, sapendo bene che probabilmente non si arriverà ad alcun tipo di accordo, ci sembra forse una piccola forzatura. Ecco perché, forse, alcune materie,  a mio modestissimo parere, non sono del tutto adatte alla mediazione mentre lo sono tante altre che invece sono state escluse dalla condizione di procedibilità.

Proseguendo nell’esame dell’ordinanza, non si può che essere d’accordo con il Tribunale quando statuisce che “L’ipotesi che la condizione di verifichi con il solo incontro tra gli avvocati e il mediatore per le informazioni appare particolarmente irrazionale nella mediazione disposta dal giudice” e quando amplia tale affermazione anche con riferimento alla mediazione nelle materie in cui è prevista la condizione di procedibilità. Non si può non essere d’accordo con tale affermazione, sia per la nota e ormai acclarata considerazione per cui gli avvocati, anche in virtù del fatto che sono mediatori di diritto, sono assolutamente obbligati per dovere professionale a spiegare dettagliatamente ai loro clienti, cosa è la mediazione e come funziona; sia per quanto detto sopra a proposito della necessità della presenza delle parti stesse.

Il problema fondamentale resta, però, quello dell’effettività del tentativo di mediazione. I sostenitori dell’interpretazione della nuova normativa nel senso che la famosa parola “possibilità” accomunano tutte le recenti ordinanze in modo tale che, per loro, non solo le parti debbano essere presenti (e questo è pacifico), ma che esse debbano comunque versare le indennità di mediazione, a prescindere dalla loro valutazione sulla possibilità di mediare o meno, e che non esista un momento in cui esse debbano o possano dichiarare la loro volontà di proseguire.

Questa interpretazione non sembra del tutto corretta, in quanto:

  1. a) alcune ordinanze, come quelle del dott. Moriconi del Tribunale di Roma, sono assolutamente decise sulla obbligatorietà della presenza delle parti,